Robert Smithson e Nancy Holt, artisti Nordamericani entrambi nati nel 1938, hanno fatto parte della cosiddetta Land (o Earth) Art, termine coniato proprio da Smithson per indicare il movimento artistico che collegava paesaggio e opera d’arte. I due sono stati compagni nella vita ed hanno condiviso innumerevoli iniziative che hanno ridefinito i confini della pratica artistica con idee innovative a proposito di che cosa sia un’opera d’arte e dove si debba localizzare spazialmente. Hanno lasciato opere e scritti influenti usando un nuovo vocabolario, fondato sui concetti di poesia concreta, earthworks (letteralmente lavori di movimento terra), entropia, foto-marcatori, site-specific e impianti di sistemi tecnologici. Uomini e donne possono essere artefici del proprio riscatto per i peccati commessi contro Natura proprio tramite la pratica artistica, come Smithson e Holt hanno inteso fare con le loro opere.

Nancy Holt, Up and Under, Hämeenkyrö, Finland, 2003 (Foto di Fishfriend)

L’esistenza di un limite alle attività umane è nota dai tempi della paura provata dagli antichi di fronte ai fenomeni naturali, inspiegabili alla ragione, ma vissuti direttamente nella loro essenza attraverso il mito. Per millenni l’osservazione delle infinite e curiose varietà del mondo non ha distinto l’informazione ottenuta con la percezione immediata da quella tramandata dai predecessori.
La Natura per moltissimo tempo è stata Una e ha regnato su esseri umani e non umani nello stesso modo, distribuendo equamente modi di vivere, agire e pensare. La cosmografia occidentale è cambiata allo scadere del Rinascimento, quando la natura ha smesso di essere l’organizzazione unificante delle cose per divenire il dominio di oggetti sottoposti a leggi autonome, ognuna dettata dall’arbitrio umano che si manifesta nel Mondo con una serie illimitata di pratiche. In questo Mondo limiti della tecnica sembrano inesistenti. L′avanzare del progresso delle macchine ha definito un pensiero scientifico che appare solo espandibile, non limitabile, addirittura pensato come unico rimedio possibile ai guai provocati dal progresso stesso.
Il paradigma appare chiaro: la natura può essere vista come un’invenzione, una costruzione sociale. Un oggetto consueto come il paesaggio non è altro che un mediatore tra Natura e Cultura. Di fatto, è una maniera di vedere il mondo. C′è spazio per recuperare una qualche armonia? Alcuni artisti sanno che cosa fare.
Il recupero di una relazione primordiale con la natura è anche il recupero di un rapporto cultura/natura fondato su atteggiamenti artistici capaci di contrastare il potere del logos per recuperare la prevalenza del mythos. Un’opera d’arte è un oggetto con un’anima relazionale, capace di coinvolgere e muovere lo spettatore, che affianca la sua esperienza a quella dell’artista completando l’opera. Artista e spettatore sono soddisfatti quando entrambi percepiscono le rispettive proiezioni culturali, mediate dall’opera d’arte che non è un oggetto neutrale ma crea una convinzione ideale condivisa durante l’esperienza performativa. La materialità dell’esperienza ha quindi, si potrebbe dire, un significato ancora maggiore di ogni speculazione teorica sulla pratica artistica. E si deve anche riconoscere negli orientamenti di molti movimenti artistici la ricerca di un coinvolgimento effettivo degli spettatori, quindi del Mondo, per dare la vera forma finale all’opera d’arte. Non solo il singolo o un gruppo di spettatori, il Mondo stesso partecipa alla produzione artistica.

Robert Smithson e Richard Serra allo Spiral Jetty, 1970 (Foto Gianfranco Gorgoni)

Robert Smithson (1938-1973) è nato nella città di Passaic nel New Jersey. Ha studiato disegno e pittura a New York tra il 1954 e il 1956 e per un breve periodo anche presso la Scuola artistica del Museo Brooklyn. È stato un fotografo e un artista innovatore, famoso per opere di Land Art, del cui movimento è considerato tra i fondatori. Smithson è morto ancora giovane per la caduta di un ultraleggero sul quale era in volo per ispezionare il sito dell’opera Amarillo Ramp, vicino all’omonima città del Texas.
Nancy Holt (1938-2014) nata a Worcester nel Massachusetts, cresciuta nel New Jersey, dopo la laurea in biologia nel 1960 alla Tufts University, Massachusetts, nello stesso anno, si trasferì a New York City dove conobbe Robert Smithson che sposò nel 1963 e dove è morta poco prima di compiere 76 anni.

Robert Smithson, Amarillo Ramp, 1989 (Foto Netherzone, 2019)

I nomi dei due artisti sono legati al movimento della Land Art, ma l’attività condotta individualmente o insieme è più ampia e complessa in termini artistici e concettuali. Se l’opera di Smithson appare più direttamente collegata con la fotografia e la Land Art, quella della Holt è connessa anche all’uso di altre tecniche. La sua produzione comprende poesie concrete, audio, film, video, fotografie, diapositive, gesti effimeri, disegni, installazioni di dimensioni ridotte, eartworks, libri d’artista e sculture pubbliche. La coppia ha contribuito a ridefinire quali possano essere gli spazi espositivi e i mezzi utilizzati nel fare arte, spostandone letteralmente i confini e rendendoli permeabili. L’attività artistica si mescola con altre discipline, gli spazi si moltiplicano, si aprono alla natura, i mezzi impiegati sono tutti quelli che la contingenza dei tempi mette a disposizione della creatività.
I due artisti hanno portato gli spettatori fuori dalle gallerie, luoghi tradizionali di esposizione dell’arte, reinventando la natura come mezzo col quale produrre opere d’arte. La Land Art riconfigura il paesaggio riorganizzandolo e introducendo anche materiali alieni al luogo. Veri e propri monumenti artistici di questo tipo sono lo Spiral Jetty di Smithson, del 1970, e i Sun Tunnels di Nancy Holt, installati tra 1973 e il 1976. Più in generale, i lavori di earthwork, prodotti dalla Land Art tra gli anni Sessanta e Settanta, sono opere d’arte situate nell’ambiente, un genere di cui Holt e Smithson sono stati pionieri.


Robert Smithson, Spiral Jetty, Rozel Point, spiaggia del Great Salt Lake, Utah (Foto Netherzone, 2004)

La Land Art crea opere d’arte con e nella Natura, tramite l’uso di materiali come terreno, rocce, sassi, fango, tronchi d’albero, foglie, acqua, in combinazione con materiali artificiali come cemento, metallo, asfalto e colori minerali. La poetica non è quella di disporre qualche scultura nel paesaggio, ma di usare il paesaggio stesso come materiale artistico.
Il movimento è tipico dell’America del Nord, terra di grandi spazi aperti e altrettanto grandi conglomerati urbani, di contrasti felici e aspre contraddizioni. Gli USA sono altresì il luogo dove, se non vi è nato, almeno è stato reinventato un forte sentimento di protezione ambientale e di difesa delle risorse naturali. Non sembra un caso che il movimento della Land Art e l’ambientalismo siano nati negli USA durante gli anni Sessanta e siano cresciuti insieme.
Il territorio degli Stati Uniti gode un vantaggio assoluto. Disporre di una grande estensione di territorio consente di mantenere intatte (o quasi) grandi quantità di risorse naturali. Molte parti del Nord America sono difficilmente accessibili e poco frequentate, le condizioni climatiche estreme scoraggiano la presenza di visitatori e hanno indotto un senso minimalista del vivere e del fare arte. I grandi spazi non abitati di Stati come Nevada, New Mexico, Utah e Arizona hanno ospitato una serie infinita di set cinematografici di film dedicati al mito della frontiera ma sono anche sede di opere di Land Art spesso effimere. In queste aree si trovano opere site specific, intimamente ispirate dalle caratteristiche del sito, scelto appositamente per essere non abitato e lontano dalle città.
L’opera più famosa di Robert Smithson, lo Spiral Jetty (Molo a spirale), destinata a degradarsi naturalmente, è una scultura ambientale costruita durante il mese di aprile del 1970 sulla sponda nordest del Grande Lago Salato nello Stato dello Utah. I materiali usati, terra, sale e rocce di basalto, formano una spirale antioraria che si protende dalla sponda dentro il lago per una lunghezza di 460 metri e una larghezza di 4 metri e mezzo circa. Nel 1999, l’opera è stata donata alla Dia Art Foundation, il cui nome in Greco antico significa attraverso. Sino dall’inizio della sua costruzione l’opera poneva la questione della sua durata e dello stato dell’ambiente circostante. Al fine di preservare l’opera e il sito la Fondazione avverte i visitatori di non asportare le rocce che compongono l’opera, non accendere fuochi, non danneggiare la vegetazione e non abbandonare rifiuti. Peraltro, nei dintorni non ci sono strutture ricettive e il viaggio per accedervi è faticoso e le vie di accesso impervie.

Sempre nello Utah, negli anni 1973-1976, Nancy Holt ha costruito l’opera Sun Tunnels (Matthew.kowal, Retis) vicino a Lucin, una centro ferroviario locale abbandonato che dista tre ore di macchina da Salt Lake City, la capitale dello Stato. L’opera è imponente e al contempo minimalista. È composta da quattro cilindri di cemento, lunghi 5,5 metri, con un diametro di quasi 2 metri, disposti a croce, con un raggio di circa 26 metri. La forma a croce è stata progettata per allineare il sorgere del sole nei solstizi d’inverno e d’estate. Nelle date di allineamento del Sole l’opera dimostra pienamente l’interazione tra arte e natura. Ogni cilindro è opportunamente forato per riprodurre la posizione delle stelle di quattro costellazioni, Dragone, Perseo, Colomba e Capricorno. In questa opera, Nancy Holt fonde luce, prospettiva, movimenti astrali, spazio e tempo, producendo un gioco di interferenze tra natura e arte fatte di ombre e di colori. La solidità dei cilindri di cemento interagisce con la luce del sole, disegnando i paesaggio del quale entra far parte. I tunnel non sono più un prodotto industriale, ma apparecchi per misurare il tempo, sono una meridiana, una bussola e un mirino astrale che inquadra il disco solare in momenti topici, permettendo di vedere la terra, la vastità dell’ambiente, da una prospettiva interattiva di arte e natura. Il progetto minimalista dell’installazione – per contrappasso contrario – permette di percepire la grandiosità della natura; il vasto spazio del deserto può entrare nella scala individuale dello spettatore che si sublima in pura esperienza.

Robert Smithson, Broken Circle / Spiral Hill, 1971, Emmen, Olanda (Foto di Hay Kranen)

La poetica della Land Art, che installa opere site-specific incorporando gli elementi del luogo, si si contrappone polemicamente al movimento modernista, che fino ad allora aveva previsto lo spostamento degli oggetti artistici da un un museo all’altro. L’impossibilità di spostarle rende difficile la mercificazione delle opere site-specific perché esse non esistono separatamente dall’ambiente. Peraltro un’opera ambientale va incontro a naturale degradazione, contrastando l’idea di accumulazione del valore e lasciando entrare il concetto di entropia nel regno dell’arte. In proposito, Robert Smithson è stato un profondo esploratore dei diversi aspetti che riguardano la decadenza fisica e strutturale delle cose effimere mentre il tempo e la natura agiscono con i loro effetti sulla materia. Il concetto di entropia nasce in chimica e fisica e indica la dispersione dell’energia nel tempo e l’inevitabile aumento del disordine. Smithson intravvede dietro l’entropia gli aspetti più misteriosi della vita, la permanenza delle cose, la percezione sensoriale, il cambiamento fisico e la morte stessa degli esseri umani. Questo richiama quanto afferma Marguerite Yourcenar in Le Temps, ce grand sculpteur del 1983, ed equivale a pensare che nella Land Art, il tempo è l’artista principale che, per gradi successivi, prima o poi, riporterà l’opera umana allo stato di materia informe da cui lo scultore l’aveva tolta.

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