Nella stessa terra dove sono nati Giotto, Beato Angelico, Andrea del Castagno e nella quale ha avuto origine la famiglia fiorentina de′ Medici, è nato Giuliano Vangi, a Barberino di Mugello, il 13 marzo del 1931. Vangi ha abbandonato i vivi il 26 marzo del 2024, per combinazione planetaria nella data coincidente con la nascita nel 1944 di Igor Mitoraj. Respirando la medesima aria di Pietrasanta, i due artisti si contraccambiavano la stessa profonda stima umana e artistica che oggi provano in cielo l′uno per l′altro.
Da bambino, ancora molto piccolo, Vangi si era trasferito con la famiglia a Bagno a Ripoli, alle porte di Firenze e a pochi chilometri dalla Scuola d′Arte di Porta Romana, che volle frequentare spinto da una grande passione per la scultura. La famiglia manifestò qualche contrarietà e scelse per lui la classe di architettura. I voti non erano buoni e Vangi chiese di cambiare la classe che frequentava con quella di scultura, guidata da Bruno Innocenti, allievo di Libero Andreotti. Per ottenere il cambio doveva superare una prova di plastica. La superò – il ragazzo ha talento dissero – e lui fu felice. Andava a scuola in tempo di guerra e come tutti i ragazzi suoi compagni era contento quando suonava l′allarme aereo e tutti dovevano lasciare l′edificio scolastico per stare all′aperto nel Giardino di Boboli, specialmente quando saltavano le lezioni di italiano e matematica. Nella nuova classe, i voti diventarono ottimi e alla domanda ″che farai da grande?″ lui poteva finalmente rispondere con sincerità ″farò lo scultore″.

Ritratto di Giuliano Vangi. (foto: © Aurelio Baldini)


Giuliano Vangi è stato considerato anche da vivo uno scultore grandissimo, paragonato da Vittorio Sgarbi a Michelangelo, senza che il suo ego si espandesse troppo. Lui ha esercitato la propria attività di scultore come un mestiere, da affrontare quotidianamente con consapevole serietà. Come un operaio che entra in fabbrica, Vangi andava allo studio di Pietrasanta la mattina presto e ci rimaneva per tutto il giorno. Le cose da fare sono tante, compreso tenere tutto in ordine e pulito, compresi lo studio e il continuo esercizio del disegno. Una scultura, vista da un angolo visuale appena spostato di qualche angolo, appare differente, e se la guardi da un altro angolo ancora, è del tutto diversa. Solo il disegno, l′esecuzione di molti bozzetti può rendere solida la progettazione della scultura finita. Solo chi sa disegnare può fare lo scultore.
Durante l′esecuzione materiale del lavoro, l′artista sa già che cosa fare, e deve solo scegliere il momento esatto in cui posare lo scalpello, perché la materia ha una sua forza naturale e lo scultore deve sapere quando smettere con le correzioni per non rovinare il risultato. Per questo, diceva, bisogna disegnare, disegnare… disegnare molto, prima di scolpire. E scegliere bene il materiale da usare, perché a ogni forma immaginata – aperta, espansa, raccolta, allargata, curva o sviluppata in lunghezza – corrisponde solo un certo materiale.

Disegno,2021. Lapis e matite, su tela. (foto: ©Michele Alberto Sereni)

Da bambino scolpiva materiali semplici, i mattoni che poteva trovare da qualche parte, nei quali scavava alla ricerca delle forme immaginate con la mente. Ma in seguito, per Vangi, scolpire è diventato non solo il ″levare″ michelangiolesco, ma anche un ″aggiungere″, come si fa modellando la creta o saldando tra di loro pezzi di metallo. La passione per la diversità dei materiali che consentono modi differenti di fare scultura lo ha guidato per tutta la vita. Come l′idea di colorare le opere, ricordando quello che lui stesso faceva quando era bambino e come facevano – lo aveva imparato studiando – gli antichi greci, per i quali il colore naturale del bellissimo marmo pario non bastava.
Il suo occhio di artista si è formato inizialmente osservando le sculture dei greci antichi, degli egizi e degli etruschi, dei quali studiava i reperti trascorrendo lunghe ore al Museo Archeologico di Firenze.

Persona, 2003. Granito nero. (foto: © Giovanni Ricci Novara)

Poi, i suoi occhi si sono posati sulle opere di scultori eccelsi del passato, come Arnolfo e Donatello, per proseguire con lo studio approfondito della scultura di ogni epoca successiva fino alla contemporaneità.
Negli anni Cinquanta, ancora giovane, fu chiamato da amici fiorentini che lo avevano preceduto a insegnare presso l′Istituto d′Arte di Pesaro, città dove Giuliano Vangi ha messo radici sposando Graziella, compagna di tutta una vita. La città di Pesaro, capitale italiana per la cultura nel 2024, alla cui candidatura Vangi aveva contribuito con il proprio sostegno, ha deciso di dedicargli un museo. Il Museo Giuliano Vangi accoglierà oltre cento opere – tra disegni e sculture – lasciate alla città di adozione. Una parte dell′eredità andrà anche a Barberino del Mugello.
Per la città adriatica, Vangi aveva progettato, fino dal 2016, una monumentale scultura da collocare in Piazza Mosca in occasione della risistemazione funzionale. L′opera, alta tre metri e lunga sette, si intitola Scultura della Memoria ed è dedicata ai simboli culturali delle Marche, Rossini, Leopardi, Raffaello nonché al Duca Federico da Montefeltro, signore rinascimentale. La scultura ricorda la musica, la poesia, l′arte dei tre grandi marchigiani ed è concepita teatralmente, aperta alla vista, al passaggio delle persone, completata con le statue di un uomo, di una donna e di una coppia di giovani seduti abbracciati su una panchina. L′uomo indossa una maschera teatrale dorata ed è rivolto verso la facciata di Palazzo Mosca, sede dei Musei Civici, la donna è una popolana che ammira i bassorilievi scolpiti sul monumento e i due giovani ci ricordano come Vangi abbia mantenuto sempre intatta la speranza nel futuro.

Scultura della Memoria, 2018. Pietra. Piazza Mosca, Pesaro. (foto: © Semprucci)


Mentre era un insegnante a Pesaro, non sentiva il bisogno di esporre, ma studiava l′arte e indagava il proprio animo, aspettando di decidere quale fosse il suo posto nel mondo. Provava la necessità di sperimentare e conoscere, voleva vedere grandi città, voleva lavorare a Roma e Milano. Lasciò l’insegnamento per trasferirsi ancora più lontano, andando a vivere con la moglie in Brasile dal ′59 al ′62, anni vivaci un po′ dappertutto. Qui cercò ispirazione nell′arte brasiliana arcaica rimescolando materiali e idee per approdare alla scultura di forme astratte – fatte con l′uso di materiali come cristalli e metalli – che gli procurano un grande successo commerciale. ″Come, ora che vendi tutti i tuoi lavori, te ne vai?″ gli chiedevano gli amici. Ma era l′amore che lo spingeva a rientrare a casa, l′amore per la ricerca continua sulla rappresentazione della figura umana, intorno alla quale la sua riflessione estetica si combina con un′etica profonda. In Italia avrebbe ritrovato l′ambiente culturale più adatto per la sua poetica figurativa, attenta alla raffigurazione del corpo umano senza essere classicista.
L′uomo, l′essere umano, è bellissimo ma è capace di fare cose terribili, uccide i propri simili e li fa soffrire senza apparente motivo, produce invenzioni meravigliose e offende la Terra sulla quale vive. La spiegazione di questo mistero dell′ambiguità umana non è a portata di mano, resta nell′ombra della storia, prima o poi richiede una riflessione profondamente religiosa e metafisica. Ecco allora che gli esseri umani raffigurati da Vangi – uomini e donne – sono spesso intrappolati nella materia, in gabbie, dentro tubi, in volumi di scatole che li contengono e ne costringono i movimenti. Hanno espressioni dolorose, sono rannicchiati su sé stessi. Oppure sono un canto di gioia, con uomini e gabbiani che tendono a volare nell′alto dei cieli, fatti di metallo, per riflettere la luce solare sulla propria pelle specchiante.

Donna che ride, 1968. Alluminio dipinto. (foto: © Liberto Perugi)


Negli ultimi venti anni, Vangi ha prodotto opere sempre più calate nella realtà, talora ispirate da fatti di cronaca. Nel 2014, con Katrina, un groviglio bronzeo di corpi in balia di onde terribili, rievoca l′urgano che nel 2005 aveva sconvolto gli Stati Uniti e devastato la città di New Orleans. Nel 2006, Vangi aveva già reso il senso della catastrofe in un bozzetto di grandi dimensioni che rappresentava l′apocalisse d′acqua che travolgeva corpi umani completamente indifesi di fronte alla morte. Il senso di catastrofe è reso più drammatico da una luce che squarcia il cielo e illumina la scena di un′umanità che potrebbe ancora essere salvata dall′arrivo di un angelo.

Katrina, 2004. Disegno a matita. (foto: © Silvio Pennesi)

Dopo dieci anni, il gruppo bronzeo che deriva dal bozzetto conserva intatto il senso tragico del disegno. La forza distruttiva delle onde è resa da scanalature scolpite nella superficie ruvida del bronzo. L′angelo che arriva in volo, sospeso sui corpi in balia delle onde, potrebbe essere la salvezza o l′angelo della morte verso il quale inutilmente si protendono le mani delle vittime della furia delle acque.
Nel 2010, Veio, una scultura composta con materiali diversi, mette in scena un cavaliere dell’apocalisse a cavallo di una moto lanciata su un nastro d’acciaio di oltre dieci metri. La motocicletta è vera, bella e aggressiva, un moderno cavallo scintillante, che serve per dare forma plastica al volo di un cavaliere nero, il cavaliere dell′Apocalisse, l′invasore che arriva da Roma per conquistare la città etrusca, uccidere gli abitanti o li fa prigionieri. La sete di conquista degli antichi è la stessa dei moderni che hanno in più potenti mezzi tecnologici, bellissimi e per questo ancor più micidiali.

Veio, 2010. Materiali vari. (foto: © Giovanni Ricci Novara)


L′essere umano è vittima, ma sa essere anche carnefice, ancora oggi non ha dimenticato la violenza primitiva di cui l′umanità non sa fare a meno. C′era una volta del 2002, scultura in resina dipinta, richiama indirettamente il racconto biblico fatto da Caravaggio di Davide che tiene per il capelli la testa mozzata del gigante Golia. Il debole che ha fede vince e uccide il nemico potente. In Vangi, il personaggio decapitato è una terribile maschera sanguinante piena di terrore, mentre il giovane Davide con la spada sguainata si sdoppia in due giganti senza volto, attori lugubri e scuri di una insensata violenza. Ogni uccisione, ogni violenza, ogni condanna a morte è una sconfitta per l′intero genere umano, perduto alla rincorsa di cose prive di senso.
Giuliano Vangi ha realizzato diversi monumenti di arte sacra, chiamato a collaborare con architetti come Renzo Piano e Mario Botta. Al sacro, all′arte sacra, va restituita la centralità culturale che è stata nel tempo quasi dimenticata. Individui e collettività possono riprendere fiducia nella sacralità della vita umana, nonostante le infinite contraddizioni. Anche l′attenzione alla figura femminile, molto più frequente nella ultima produzione di Vangi, è un segnale di speranza e di attesa di nuova fecondità.
In occasione dell′Anno Santo, nel 2000, i Musei Vaticani hanno inaugurato un nuovo ingresso, arricchito con un′opera di Vangi, Varcare la Soglia, dal forte impatto simbolico e visivo. L’opera raffigura una figura umana che emerge con vigore da un blocco di marmo, evocando il concetto di transizione sia spaziale che temporale, un ponte tra passato e futuro, un gesto di liberazione, un viaggio drammatico. Sul marmo sono incise immagini in rilievo di Papa Giovanni Paolo II che storicizzano l′opera e ne fanno un manifesto scultoreo del passaggio al nuovo millennio.

Varcare la soglia, 2000. Marmi policromi. Musei Vaticani. (foto © Giovanni Ricci Novara)


La scultura di Giuliano Vangi è lontana dal classicismo figurativo, dopo averne ereditato l′ispirazione ne rifiuta la ripetizione uguale a sé stessa, fidando su un′ispirazione inesauribile. L′intera sua opera è una consapevole gratitudine nei confronti dei predecessori, un orgoglio discreto del saper fare, giustificato da contributi sempre nuovi e originali che saranno classici per i posteri di molte generazioni a venire.
Le opere di Giuliano Vangi sono state esposte in tutto il mondo fino dagli anni Sessanta, con grandi riconoscimenti da parte del pubblico e della critica, ma è stato uno dei pochi artisti ad avere un museo dedicato mentre era ancora in vita. Dal 2002, vicino alla città giapponese di Mishima, è aperto al pubblico il Vangi Sculpture Garden Museum, una mostra permanente di centinaia di opere di Vangi, disegni e sculture, con i pezzi di maggiori dimensioni esposti all′aperto in un grande giardino. Nello stesso anno il Giappone gli ha assegnato il Premio imperiale per la scultura, uno dei massimi riconoscimenti artistici al mondo.

Panoramica del Vangi Sculpture Garden Museum , Mishima, Japan (foto © Archivio Vangi)

Tags:

Comments are closed

il BLOG di C.A.M.Po.

Novità su Eventi, Pubblicazioni, Mostre …
al Centro Arte Mariella Poli

e in altri luoghi pubblici e privati

Come trovarci

Indirizzo
Via Padule, 63/g
55045
Pietrasanta (LU)

 

Telefono
+39 340 519 4083

email
mariella.poli@gmail.com